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Schubert secondo Ryoko

Schermata 2014-11-18 alle 21.41.00La sera del 28 marzo 2011, presso il Teatro Trastevere, in una sala GELIDA, la pianista Ryoko Tajika Drei, ha presentato al pubblico Schubert. Dico “presenta” e non esegue” per esaltare maggiormente l’abilità performativa dell’artista. Il programma prevedeva tre pezzi per pianoforte: l’opera postuma D946, N 1, i quattro improvvisi opera 90 D899 e, in conclusione, la Sonata D959 in La maggiore.

Ryoko Tajika Drei entra in teatro da metà sala, accolta da un infreddolito ma sentito applauso. Emozionata, si dirige al palcoscenico sul quale troneggia un bel pianoforte Yamaha a mezza coda, laccato nero, in cui qualcuno del pubblico può vedere riflesse le sue mani durante il concerto, sentendosi ancora più dentro al mondo di questa musicista che ha composto moltissimi pezzi per quattro mani.

Il suo abbigliamento primaverile non la aiuta, ma ugualmente suona. E malgrado il passaggio che – ahilei – per due volte verrà leggermente sporcato, prende a scaldarsi coinvolgendo tutti, trasmettendo quella stessa passione che la sta attraversando. Come un motore diesel, man mano che procede nel coinvolgimento/travolgimento musicale, trascina il pubblico nelle atmosfere oniriche così tipiche dei pezzi schubertiani.

Schubert non è compositore facile da eseguire, è importante sottolineare questo “dettaglio” perché anche se non classificabile tra i virtuosi del pianoforte – e ha vissuto così poco da poter godere di maggior fama con opere pubblicate postume -, ha saputo utilizzare lo strumento fino in fondo, non solo inserendo novità tonali che si discostavano dagli schemi tradizionali degli intervalli di quarta e di quinta passando all’uso sistematico di intervalli di terza e al continuo cambio tra tonalità maggiore e minore, ma altresì scrivendo delle variazioni assolutamente difficili da eseguire perché inserite senza tener conto dell’esecutore, come invece sarà tipico nel virtuosismo brillante che prenderà piede dalla seconda metà dell’Ottocento in poi.

La scelta di Ryoko sembra quindi azzardata, quasi una sfida, non fosse che è stata vincitrice del premio speciale al concorso internazionale “Schubert” dell’Associazione giapponese di Educazione Musicale – e altri, tra i quali il primo premio al concorso internazionale per solisti dell’Associazione dei Giovani Musicisti del Giappone. Al termine del concerto concede un commosso bis, regalando un brevissimo quanto intenso brano di Shakamoto, e il pensiero collettivo va al concerto benefico per le vittime dello tsunami, di cui il presentatore ha parlato ad inizio serata.

Alla fine si ritira in camerino, dove la raggiungiamo per complimentarci con lei per come è riuscita a suonare, malgrado le condizioni non favorevoli, e lei in un perfetto italiano (dopo essersi diplomata alla Scuola di Musica Kunitachi di Tokyo, si è perfezionata – qui in Italia – all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e all’Accademia Musicale Chigiana di Siena) ringrazia, parlando della difficile gestione tra mani sudate e tastiera ghiacciata, al che la guardo ancora più stupefatta e solidale.

Per tutta risposta – a conclusione di un concerto incantevole – il suo sorridente abbraccio.

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